I suoni, che evolvono nel tempo e cambiano a seconda dello spazio, sono una parte del nostro patrimonio culturale immateriale e caratterizzano il paesaggio sonoro nelle diverse epoche.

Il paesaggio sonoro dell’antichità non aveva nessuno dei suoni caratterizzanti i nostri giorni, come il clacson delle automobili, il sottofondo della televisione e il trillo del cellulare. Se risulta facile immaginare quali suoni non esistevano in epoca antica, più difficile risulta identificare quali invece erano comuni e scandivano la quotidianità dei nostri antenati e dei loro mestieri.

Mentre la storia della musica può partire dalla preistoria grazie al ritrovamento di reperti di antichi strumenti musicali da scavi archeologici, per l’archeoacustica, ricostruzione della dimensione sonora dell’antichità, la fonte di informazione sono solo gli scritti degli antichi.

Chi abita presso la via è svegliato dall’asse che stride di sotto al carro; e lo affliggono i fitti colpi dei miseri fabbri che attizzano il fuoco” (Callimaco, Ecale, fr. 351 Pfeiffer).

Nel III secolo aC, il poeta Callimaco aveva ben chiari i rumori che udiva nel suo circondario, ma noi possiamo solo immaginarli considerando gli oggetti che li producevano, descritti nella letteratura: oltre ai colpi dei martelli dei fabbri, possiamo per esempio pensare al coro di versi degli animali che trainavano i carri che sferragliavano sulle strade acciottolate nelle città e al rumore che dovevano fare le macine dei mugnai.

Nel 2016, un gruppo di appassionati ha provato a percorrere le strade del parco archeologico di Paestum cercando di ripercorrere con la fantasia la “fonosfera” di due millenni orsono: il vocìo dei bambini che giocavano, le persone riunite per discutere di affari, sedute a chiacchierare nelle taverne, in attesa di essere servite in una bottega, l’acqua delle piscine, il clangore delle armi e le ovazioni degli spettatori nel teatro durante i combattimenti dei gladiatori…